Comune: Modena
Provincia: Modena
Edicolante: Manzini Davide, edicola viale Verdi 74


Mario Bugamelli entrò come ogni mattina nel negozio- edicola per acquistare il Corriere. Dall’ombrello scesero fiumi d’acqua che bagnarono il pavimento. Fuori la pioggia autunnale non dava tregua alla città. Il giornalaio Piscopo aveva  gettato un po’ di segatura sulle lambrecce di quel vecchio impiantito che aveva visto tempi migliori e che non ne avrebbe visto di diversi, perché di lì a un paio d’anni l’intero palazzo sarebbe stato demolito per far posto ad un centro commerciale.
‘Poteva mettere l’ombrello in quel recipiente là fuori’ disse Piscopo indispettito, rivolto a Mario Bugamelli, il quale non rispose ma rise. Come al solito. Il pensionato non parlava quasi mai. In compenso ridacchiava, mettendo in mostra la dentiera immacolata. Quando parlava, le sue parole erano accompagnate da un sottofondo di nacchere. Alzò le spalle, prese il Corriere, pagò ed uscì, non senza aver dato un’ultima scrollata all’ombrello che sparse gocce all’intorno come il sifone di un seltz chiuso malamente.
Pochi giorni dopo, l’anziano cliente, che di educazione e riguardo si era ormai fatto un baffo, fu trovato cadavere lungo la scale della sua bicocca, con un coltello piantato nella schiena. Il caso fu archiviato come una rapina finita male. Il portafoglio dell’uomo fu trovato vuoto su un gradino della scala ammuffita dalla sporcizia e dall’umidità e non fu trovata nessuna traccia dell’orologio da polso, che doveva esserci, come sentenziò il maresciallo della Mobile, dopo aver esaminato il segno rossastro lasciato dal cinturino sul polso sinistro del morto.
Trascorsero due mesi, senza particolari novità. Piscopo continuava ad alzarsi ad ore antelucane per ricevere in tempo i giornali. Li portava  Gastone, un incaricato del distributore. Un mattino freddo di dicembre, Gastone entrò nell’edicola  e, come era solito fare da qualche giorno, apostrofò Piscopo  sghignazzando: ‘Ehi, arcivescovo, ecco i tuoi breviari’.
Al giornalaio non piaceva essere deriso, neanche per scherzo. Ammirava e si profondeva in saluti che sfioravano il salamelecco, con i clienti educati. Buongiorno, signor Piscopo.Tempo da lupi, eh. Che ne dice? Il clima è matto, come gli uomini. Una conversazione basica, forse un tantino ripetitiva, un tormentone da caffé. Non importa, a Piscopo piaceva chi gli portava rispetto.
Quell’arcivescovo buttato lì così nel silenzio ovattato di un’alba gelida, che avrebbe implicato ben altre considerazioni, soprattutto meteorologiche, gli dette un enorme fastidio. Sapeva che il suo nome si prestava a battutacce chiesastiche. Ma lui era rispettoso, anche dei preti. E pretendeva rispetto. Era un giornalaio, non un arcivescovo. Poi, il burlone chiese dove erano i ‘Manga’, i fumetti giapponesi, a volte un po’ spinti. Ne scelse uno, con la copertina ridondante di femmine-bambine con gli occhi grandi e sgranati. Pagò e uscì , sbattendo la porta a vetri.
Un mese dopo, si era in gennaio, Gastone finì coinvolto in quello che i giornali definirono un ‘tragico incidente’ sull’Autosole. Il suo furgoncino fu tamponato da un Tir e per il fornitore di quotidiani non ci fu nulla da fare.
Piscopo lesse la notizia e ci rimase male. Era già il secondo  frequentatore dell’eidcola che moriva nel giro di pochi mesi. E in circostanze drammatiche. La vita, a volte, è crudele. Si sa.
A marzo entrò da Piscopo la Sberlecchina. Voleva un settimanale di gossip. In quell’antro scarsamente illuminato la ragazza ebbe un’idea. Si sbottonò la camicetta e mostrò un seno turgido a Piscopo. Chissà, forse a quella vista, il giornalaio avrebbe anche potuto regalarle il giornale. Di più non  fece, ancbe perchè Piscopo era brutto, Più che brutto, repellente. E anche per la Sberlecchina, che non disdegnava gli incontri a luci rosse nei solai del suo palazzo, c’era un limite a tutto.
Il giornalaio la guardò come si guarda un Basilisco, non temendo di restare pietrificato, come vuole la leggenda. Non disse una parola. Aprì solo la bocca per comunicare il prezzo della  rivista. Poi si voltò e si mise a scartabellare i libri allegati ai quotidiani. ‘Le gente non legge più’,  pensò dopo aver constatato che c’erano volumi in abbondanza rispetto ai giornali venduti. La gente non li voleva :li lasciava a Piscopo perché li buttasse. ‘Dove andremo a finire?’ si interrogò l’edicolante, riferendosi in cuor suo sia alla crisi della lettura che alla sfrontatezza della Sberlecchina.
La quale, afferrato il settimanale con rabbia, rinfoderato il seno e gettato alcuni Euro tra i giornali accuratamente messi in fila sul bancone come soldati a una parata, uscì di scatto, maledicendo Piscopo con un ‘vaffa’ gettato lì, tra il lusco e il brusco della bottega e l’indifferenza risentita di Piscopo.
Non passarono che quindici giorni e la Sberlecchina fu trovata senza vita nel suo mini, stroncata da un’overdose. Ne dette notizia il giornale locale e Piscopo fu colto da pensieri cupi. Anche se la Sberlecchina non frequentava l’edicola con assiduità,  era pur sempre il terzo cliente che veniva a mancare tragicamente. E che non gli avrebbe più lasciato le monetine, per l’eternità.
Poiché all’epoca mi occupavo di cronaca nera, quella dei delitti, delle morti per droga, degli incidenti stradali di una certa gravità, ero venuto a contatto con i tre episodi. Avevo pubblicato le relative storie e, come il maresciallo della Squadra mobile, ero giunto alla madre di tutte le congetture: la fatalità.
Fu soltanto più tardi, dopo aver conosciuto Piscopo, ed averlo intervistato in relazione ai tre clienti passati a miglior vita, che mi venne un sospetto. Era qualcosa che andava oltre la realtà,  qualcosa che assomigliava a quella vecchia serie tv in bianco e nero, e che si intitolava appunto ‘Ai confini della realtà’. Io ricordavo con una certa approssimazione i primi episodi, quelli che furono trasmessi dal 1959 al 1964 e che ebbero tra gli sceneggiatori quel diavolo di Ray Bradbury, mitico scrittore di fantascienza e sceneggiatore di molti film, come ‘Cronache marziane’.
Mentre lo intervistavo,  mi accorsi che Piscopo  aveva qualcosa di inquietante. Piccolo, grosso, di carnagione scura, dovuta probabilmente al cuore che funzionava male, E brutto, brutto ogni dire. Avrebbe fatto la sua figura nella favola di Pollicino, nella parte, ovviamente, dell’Orco. Non era sposato e viveva con una sorella ancor più brutta di lui. Uno spaccato di vita normale, tutto sommato, anche se si trattava di una vita minima, consumata giorno per giorno, pensando alla pappina serale o al pane imbevuto nella tazza di latte del mattino presto, quando fuori faceva ancora un buio pesto.
Mi resi conto soprattutto che quell’edicolante aveva una sua morale innata, anche un po’bacchettona: non amava gli strambi, i diversi, quelli che trovavano in ogni situazione un motivo di scherzo. Se si fosse guardato bene allo specchio, forse avrebbe cambiato idea. Ma evidentemente non si guardava o non si guardava abbastanza. A lui piacevano i clienti rispettosi, i gentili, gli appassionati di meteorologia. Dalla sua ricostruzione dei fatti, pedante e meticolosa,  come la disposizione dei giornali sul banco, mi resi conto che tutti e tre i clienti morti in circostanze drammatiche, in qualche modo gli avevano mancato di rispetto.
Era una teoria che non si reggeva su nessuna prova. Era un capriccio della mente, un residuato di vecchie lettura mal digerite, un avanzo di immagini televisive della famosa serie di Bradbury, un pendolo che si muoveva nella mia testa,  come quello di Edgar Allan Poe. Sempre più giù, sempre più giù…
Trascorse circa un mese dall’intervista, che il giornale non pubblicò, perché mi era fatto prendere la mano dalle fantasticherie, finché una mattina sul tardi, tornai all’edicola per comprare una rivista di storia. Prima di entrare vidi sulla soglia, barcollante,  ‘Macho Man’.
Era costui un assiduo frequentatore dei bar dove consumava grappini a colazione. A mezzogiorno era già  suonato come la campana maggiore della cattedrale. E  aveva la bocca impastata e la lingua biforcuta come  avrebbero detto i pellirosse dei western americani.
A quel punto chissà come avrebbe affrontato Piscopo, quali battute inopportune avrebbe pronunciato con la sfrontatezza degli ubriachi, su quali montagne di rovi si sarebbe inerpicato con l’audacia o meglio la temerarietà  a 40 gradi degli alcolisti?
Io cercai di fermarlo, di non farlo entrare in contatto con Piscopo. Ma lui, come il Franti di ‘Cuore’, sorrise e come la monaca di Monza  non disse di no,  spinse la porta a vetri dell’edicola e sparì in pochi secondi nell’antro buio. Dodici giorni dopo ‘Macho Man’ fu trovato impiccato ad un albero della strada. Un suicidio plateale di cui parlarono anche i giornali nazionali. Dalla cronaca nera, intanto ero passato ad un altro settore della redazione. Non mi occupai del caso  E non volli più occuparmi di casi misteriosi.
Piscopo è morto già da anni. L’edicola non c’è più. Al suo posto hanno eretto un palazzo di cinque piani. Ho saputo per caso che l’altro giorno si è bloccato l’ascensore e che un anziano è morto di paura.
Sono andato in centro e ho comprato ‘Topolino’.