Comune: Mirandola
Provincia: Modena
Edicolante: Daniela Vergnani, Via Valli 650/652, San Martino Spino (Mo)


– Andiamo dalla Daniela? È l’invito quotidiano di mio nipote Davide, 8 anni, il quale sa che dalla giornalaia può trovare (a scelta) anche un gioco, una bustina, un ovetto, un dolcetto.
Io cerco di dribblare la domanda e di solito vado quasi sempre da solo, per comprare un giornale, un periodico, libri, un po’ di cancelleria. Ma quando Davide è con me, se si è reso utile aiutando qualcuno in famiglia, se ha meritato bei voti a scuola o segnato un gol giocando a calcio coi “Pulcini”, bisogna accontentarlo, anche se è difficile soddisfarlo completamente e per lungo tempo.
Questo negozio di San Martino Spino, frazione mirandolese denominata la Burano delle Valli per le sue case coloratissime che si sono ribellate tramite gli imbianchini ai terremoti del 2012 e alla tromba d’aria del 2013, ha mille cose, forse cinquemila: è edicola, tabaccheria, cartoleria, profumeria, tabaccheria, dolcetteria, giocattoleria, bottega del lotto, dei gratta e vinci e della lotteria…
Daniela c’è sempre, i suoi cinque gatti e il cane Sissi, pure. Nonno Silvano, suo padre, se non è impegnato a costruire case e automezzi di cartone per le scuole e i bambini, arriva alla cassa a metà mattinata. Gregorio, il marito di Daniela, se non è in piedi a mettere le pile agli orologi, è ginocchioni a gestire gli arrivi e i resi di quotidiani e riviste varie, discute con me sugli ultimi fattacci della cronaca politica, quasi sempre imperniata sulle caste, che tante ci costano e sembrano cosche, e si dibatte sul fatto che il crimine e l’insicurezza, in Italia, sembrano regnare sovrani, senza che nessuno vi ponga rimedio. Lui aspetta pure gli agricoltori per parlare di mezzi meccanici e della sua terra, che è intorno a via Fruttarola, posto davvero singolare, quasi sempre epicentro delle scosse sismiche. In un appezzamento che si gonfia continuamente, come se in quel punto, le radici di Alpi e Appennini volessero esplodere in nuove montagne. Fra un milione d’anni la Bassa non sarà così bassa…
Davide, cosa scegli?
Non lo so, guardo…
Non toccare tutto. Non puoi toccare!
Se sapevo che non posso toccare, nascevo albero!
Buona questa. Dove l’ha sentita?
E’ scritto in quella maglietta che m’hai portato da Sirmione.
Come?
Sei sordo? Sirmione!
(Sirmione è un ottimo centro per curare la sordità rinogena, le artrosi, le patologie pneumologiche).
Guarda che puoi comprare soltanto un ovetto, una bustina… I giochi grossi li compra il papà. Non si può tutte le volte chiedere Lego, le tartarughe ninja, i personaggi di Guerre stellari. Un bel libro, perché non compriamo una bella favola, un giornalino con il gadget?
Sempre!
Sempre cosa?!
A me piacciono altre cose!
Come sono cambiati i tempi. Quando ero piccolo io, il giornalaio doveva vendere anche frutta e verdura per sbarcare il lunario, lamette, saponi, borotalco, profumi, e i giochi li vendeva solo a Pasqua e Natale, per qualche compleanno e alla la vigilia dell’Epifania. I giochi si svolgevano all’aperto, con qualsiasi stagione: riguardavano la lippa, la cavallina, il nascondino, le partita a biglie di creta o di vetro (per infilare la buca, svolgere la cicca-boccia, la spanna o il cerchio). Tutti erano armati di fionda, di cerbottana. Altri trattenimenti: si interpretavano le guardie e i ladri, la mosca cieca. Per tutti la palla avvelenata, la palla prigioniera, i quattro cantoni, ruba bandiera, la morra e le sfide con le figurine e le partite a piastre.
L’ultima volta che io ricevetti un regalo fu per la Befana ed avevo 13 anni. Feci finta di credere ancora nella “Vecchia” per spuntare un sacchetto in famiglia. Esso conteneva cose che mi fecero capire che era ora di dire basta all’aspettativa di un giocattolo e di avvicinarmi, piuttosto, ad una bambina della mia età. Siccome mia madre era molto povera, all’alba del 6 gennaio 1953 Ivaldo le aveva venduto due rimanenze: una cioccolata e un oggettino intagliato in montagna nel legno, di pochi centimetri, che con due levette metteva a martellare su un ceppo in miniatura, a turno, un orso e un boscaiolo. Bastava tirare alle due estremità e si sentiva solo un tic-toc ripetitivo. Niente di creativo. La cioccolata non si poteva mangiare. Era piena di bestioline in piccoli tunnel in cui c’erano ancora involucri di parassiti. Segno che di tavolette se ne vendevano ben poche…
Quando mi svegliai, manipolando le cose di quella Befana poverissima, deluso piansi, in un tenero abbraccio, assieme a mia madre, che comunque aveva sacrificato i soldi per la carne da brodo della festa.
I giocattoli, con gli amici, ce li potevamo fabbricare con il filo di ferro e il legno, con gli ombrelli in disuso, con la creta.
Per la sagra, una volta o due l’anno, si poteva scegliere tra una pistola di latta e un fucilino, una piva che scoppiava in pochi minuti o un gallettino di latta con le piume colorate sulla coda, uno o due colpi alla pesca. Se mia nonna Cesarina, che era bravissima a raccontarmi favole, quando ero a letto malato, andava ad Abano o a Montecatini, mi portava a casa qualcosa ed io ero arcicontento. Una pistola che sparava i tappi mi consentiva di spiaccicare sui muri di casa mosche e zanzare…
La bicicletta me la sono comprata da adulto. Il traforo, un cartone con tanti piccoli attrezzi e seghetti da usare per ritagliare con il compensato, l’ho chiesto, prima di ottenerlo, per almeno dieci anni a mio nonno Silvio, un invalido della prima guerra mondiale che lavorava molto sodo, nonostante avesse le mani con i tendini spappolati per una granata che l’aveva centrato sul Piave.
Mio padre, muratore quasi sempre disoccupato, non aveva denaro per acquistare balocchi. Mi comprava da vestire e cose per la scuola quando compivo gli anni. Qualche capo di vestiario poteva giungere usato già da mio fratello, che, a sua volta, l’aveva avuto, se smesso, da uno zio. E se il mattino dell’Epifania, all’alba, si sentiva un tonfo nel buio delle stanze fredde da letto del solaio, nel quale arrivava uno strato di gelo, si trattava quasi sempre di una cartella nuova in fibra, da portare a tracolla, contenente quaderni, mandarini, noccioline e qualche matita, qualche tappo e un po’ di carbone.
Questo è inutile che lo racconti a mio nipote. Non mi capirebbe.
Lui a tre o quattro anni armeggiava già con i cd e i computer, la play station, sapeva usare lo smartphone e il tablet. Però è lesto anche nell’uso delle spade-laser di Guerre stellari, come un circense o un attore consumato delle pellicole di cappa e spada. I suoi sono quasi tutti passatempi da svolgere al coperto, però. Io ho imparato ad usare un telefono a 21 anni, durante il servizio militare. E confesso che da nonno apro ancora qualche ovetto o sacchetto di patatine, per rifarmi…
A 75 anni ho ordinato per me ad un vero artista e restauratore del mio paese, Cicci, un Pinocchio alto come un bambino di dieci anni, uguale a quello del film con Geppetto-Manfredi e la Fatina-Lollobrigida, andato in onda in tv tanti anni fa…